Poter licenziare, da solo, non basta.
Una delle difficoltà che si imputano alla nostra economia è quella della rigidità del mercato del lavoro. Probabilmente è vero: solo che quando si va a descrivere il problema lo si dipinge come “l’impossibilità per il datore di lavoro di licenziare”. Ma c’è anche l’altro lato del problema: quello dell’impossibilità del lavoratore insoddisfatto ad andarsene.
Il “padrone” ha, infatti, mille modi per rendere la vita impossibile al dipendente: lo mette a fare lavori noiosi e tristi, lo rende subordinato a qualcuno che non possa sopportare, gli impone le ferie in momenti inutili e potrei continuare. Spesso poi, sono i colleghi a non volere il corpo estraneo. L’effetto di questo ha il nome di mobbing.
Solo che il dipendente “vessato” non ha altra scelta se non quella di restare al suo posto perché, anche ricevendo un congruo buonuscita, dopo, cosa potrebbe fare?
Diversa sarebbe la situazione in un contesto in cui fosse ragionevolmente facile trovare un impiego alternativo. Basterebbe accettarlo, dare il preavviso e, salvo contro offerte del primo datore di lavoro, cambiare lavoro.
Sappiamo che in Italia questo non è così semplice, ma per ottenere che lo diventasse servirebbero delle condizioni neppure troppo difficili da realizzare:
la prima sarebbe la possibilità di conoscere le richieste delle aziende:
è molto probabile che in Italia ci siano molte aziende che cercano, senza trovare, un lavoratore con le stesse identiche caratteristiche di colui che il lavoro lo vorrebbe trovare o cambiare.
Ma la triste verità è che il lavoro lo si trova per conoscenze di amici. Certo, esistono le società per il lavoro interinale, ma quelle valgono solo per chi il lavoro lo avesse già perso.
Potendole trovare le aziende assumerebbero persone già formate sul lavoro da compiere e che, anziché richiedere lunghi periodo di formazione, porterebbero, anzi, conoscenze ed esperienze nuove.
D’altro canto i lavoratori otterrebbero condizioni migliori, sia perché al momento dell’assunzione avrebbero molto da offrire, sia perché, in caso di insoddisfazione potrebbero minacciare, credibilmente, di prendersi ed andare via.
Una seconda condizione sarebbe la possibilità di trovare alloggi a prezzi accessibili:
chi si sposta deve infatti poter abitare in un luogo ragionevolmente vicino al posto di lavoro, a prezzi ragionevolmente bassi ed in tempi utili per iniziare a lavorare.
Per favorire la cosa si potrebbe pensare a degli incentivi alle aziende che offrissero la casa ai dipendenti, ovviamente andrebbero scalati dallo stipendio, ma rientrando nei costi del personale potrebbero godere di parecchi vantaggi.
Ma sarebbe anche bello poter vendere una casa e comprarne subito un’altra. Per fare questo servirebbe una maggior flessibilità de mercato immobiliare. E questo vorrebbe dire meno burocrazia ed adempimenti.
Un’altra cosa da farsi sarebbe il rendere facili gli spostamenti.
Spesso il lavoro potrebe essere trovato non distante dalla propria città, diciamo un centinaio di chilometri, un’oretta… se non ci fossero code. Ma se si abitasse oltre uno dei nodi di criticità del traffico (Venezia, Bologna, Milano, Roma, solo per citarne alcuni) i tempi di percorrenza potrebbero essere eterni. Inoltre in Italia non abbiamo un trasporto pubblico dignitoso, servirebbero enormi opere pubbliche per spostare il trasporto dalla ruota alla ferrovia, ma questo lo si sa.
Per finire servirebbe una sensibilizzazione sul fatto che cambiare città non è una cosa necessariamente negativa. Perché in fondo siamo una specie che ha sempre effettuato migrazioni alla ricerca di luoghi in cui procacciarci il cibo, altrimenti vivremmo ancora tutti in Africa.
Dei provvedimenti che andassero in questa direzione favorirebbero la mobilità del personale rendendo l’economia del nostro paese più elastica e dinamica. E sarebbero pure liberali, perché il liberismo non vuol dire solo favorire le imprese, vuole dire favorire la possibilità che ciascuno deve avere di far valere le proprie carte.
Purtroppo queste cose toglierebbero potere ai datori di lavoro, comprese cooperative e aziende di lavoro interinale. Ma danneggerebbero pure, e di più, i sindacati che perderebbero importanza agli occhi di lavoratori più liberi di scegliere e di fare valere, monetizzandola, la propria professionalità.
Quindi si continuerà a parlare di articolo 18 e di ammortizzatori sociali.
Salutir
4 Comments:
Boh. Il problema sta nel fatto che noi non siamo in bruciante ripresa come nel dopoguerra... allora le grandi aziende sostituivano lo stato cercando manodopera altrove, preparavano le condizioni perche' questa potesse spostarsi altrove e vivere "quantomeno" dignitosamente... Ci vuole denaro, ma anche fiducia nelle proprie possibilita' per fare queste cose.
Ora, nonostante non vi sia coordinamento sul mercato nazionale si preferisce prendere cio' che si trova in loco. Gli stranieri che sono spesso anche clandestini vengono cosi' regolarizzati e rimpiazzano la manodopera locale che "non ha voglia di lavorare". Ma la dignita' del lavoratore conseguita attraverso le battaglie sindacali non la si puo' sacrificare in nome della flessibilita'. Dove sto io ci sono stranieri che vivono a gruppi in scantinati; percio' lavorano, se no non ce la farebbero nemmeno loro. E transeat sul fatto che il Comune integra quegli stipendi che sono oltremodo bassi... agli stranieri, non agl'italiani.
Qui lo Stato ci vuole, se no e' una specie di macello, sociale culturale ed etnico. L'impresa non puo' o non vuole farsi carico della propria societa'. Se non lo fa nessuno capirai bene dove si va a finire.
certo, la tua è un'ottica "sociale", non è necessariamente sbagliata e può starci.
ma applicare un po' di sano liberismo in favore dei lavoratori (e non solo a favore delle imprese)porterebbe altra acqua. e non sarebbe in contrapposizione.
r
Naturalmente io sarei per un'assoluta liberta', ma solo in un contesto culturale omogeneo; ed anche per la competizione naturale. Solo dubito del fatto che in una societa' del tutto priva di autocoscienza individuale cio' possa essere realizzato. A noi manca cio' che gli americani chiamano "moral suasion"; e cioe' l'individuo che per convinzione filosofica si fa carico, anche economico, della societa' con cui viene a contatto, senza alcun altro obbligo che non venga dalla propria coscienza. Capirai che questa non e' una cosa che si puo' fare per decreto... Purtroppo il nostro sistema e' privo dei meccanismi di tutela che invece esistono in paesi come la Francia e la Germania almeno da 80 anni... siccome una tale transizione sarebbe una specie di lungo esodo e la flessibilita' e' ormai indispensabile, sarebbe meglio predisporre qualche meccanismo che accompagnasse il cambiamento. L'erogare pensioni future ad individui che non avessero contribuito in modo adeguato costerebbe molto di piu', credo, enon si potrebbe fingere di non vedere una parte della societa' che fosse in stato di necessita'. E' un problema culturale che va risolto nelle sedi opportune.
I GIOVANI, LA FLESSIBILITA' E LE BUGIE DELLA POLITICA
La politica nell'ultima campagna elettorale si è spellata la lingua nel dichiararsi contro la precarietà nel mondo del lavoro ed ha dichiarato di voler ABOLIRE tale barbarie sociale.
Noi giovani che probabilmente siamo un pò più intelligenti di certi politicanti e di certi comici che parlano per slogan di cose che nemmeno conoscono, forse abbiamo un’idea leggermente diversa sul tema:
dichiarasi a favore o contro la flessibilità nel mondo del lavoro è da idioti perché non si possono avere posizioni aprioristiche su tale tema.
Faccio un paio di esempi:
1) in un’economia che funziona, flessibilità molto spesso è sinonimo di riallocazione immediata della forza lavoro nei settori produttivi che si dimostrano in un determinato momento più trainanti rispetto ad altri ( se oggi tira più la produzione di bulloni, il contabile, l’operaio ed il magazziniere si riallocheranno immediatamente in tale settore)
Al contrario in un’economia come quella italiana, la flessibilità è solo un voler trasferire il rischio d’impresa sui lavoratori ( se io sono un imprenditore e sono tartassato dalle tasse, vendo poco o voglio più utili, basta cacciare un pò di precari e così torno competitivo);
2) In un certo senso la flessibilità ha dato una mano ai giovani alle prime armi nei primi approcci con il mondo del lavoro permettendo di entrare sicuramente con rapporti instabili nelle aziende ma altrettanto sicuramente di riempire un curriculum che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.
Da questi due esempi si evince che non ci sono crociate da fare sulla flessibilità ma semmai bisognerebbe orientarsi ad avversare quei meccanismi che trasformano la flessibilità in una sorta di precariato cronico e di lunga durata; in altri termini bisogna solo porre degli argini alla legge 30… e vabbè che devo fare esperienza ma non mi puoi farmi fare l’atipico a vita !!!
Ma analizziamo meglio le cose:
La progressiva diffusione dei contratti cosiddetti "atipici” ha ormai assunto, nel bene e nel male, un ruolo di rilievo nella dinamica dell’occupazione tanto che si può far risalire la ripresa occupazionale italiana all'inizio del 1998 con l’adozione del pacchetto Treu, che favoriva l’utilizzo di forme di lavoro a termine e a tempo parziale.
La riforma Maroni non ha fatto altro che proseguire nella deregulation iniziata nel ’98.
Da allora, infatti, la quota dei lavoratori impiegati a part time sul totale dei dipendenti è passata dal 7% a oltre il 12% nell’intera economia, arrivando a oltre il 16% nel settore terziario privato(Dati del 2003).
Anche i lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti salgono a loro volta, negli ultimi quattro anni, dal 7% a oltre il 12% se si escludono gli addetti all’agricoltura e al settore turistico-commerciale, dove è sempre stata alta l’incidenza dei lavoratori stagionali. Più elevata è, inoltre, la quota delle donne con contratti a termine e, soprattutto, quella dei giovani con meno di trent’anni, che raddoppia rispetto alla media degli occupati.
Ma è significativo anche l’aumento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, la cui dinamica nel corso del 1999-2003 ha chiaramente beneficiato degli incentivi (credito d'imposta) introdotti dalla Finanziaria 2001 per i nuovi occupati a tempo indeterminato e in seguito parzialmente confermati.
Se l’occupazione flessibile e precaria è considerata un fattore in grado di influenzare positivamente le statistiche, ritengo che sia fattore in grado soprattutto di influenzare negativamente la vita di tutti quei giovani che, accettando all’inizio della loro carriera lavorativa la flessibilità come buon modo per affacciarsi al mercato del lavoro, ne sono rimasti pian piano intrappolati.
La situazione complessiva del sistema Italia è abbastanza deludente e la lunghezza del ciclo economico negativo ha avvolto il nostro Paese in una spirale stagflattiva dalla quale difficilmente ci si potrà sottrarre se non con la radicale inversione di tendenza delle strategie economiche del nostro Paese.
Gli artifici finanziari dei Governi succedutesi negli anni capaci solo di fare cassa, le manovre non strutturali sui conti pubblici ed il mancato aggancio della ripresa economica mondiale, difficilmente permetteranno a questo Governo come altri Governi di liberare risorse fresche, utili ad intervenire nei settori nevralgici del malessere Italiano.
Certo se si evitassero demagogie e si indirizzassero i vari tesoretti alla riduzione del debito Pubblico, beh forse qualche risorsa fresca e strutturale la si riuscirebbe a recuperare.
L’economia reale del nostro Paese soffre la scarsa competitività nel settore dei servizi ove c’è poca concorrenza e la dinamica dei prezzi contribuisce massicciamente all’aumento dell’inflazione, elemento che più di ogni altro frena i consumi interni nel nostro Paese ed inficia la fiducia dei mercati e delle famiglie.
Se il sistema produttivo italiano, lungi dall’avere regali fiscali per giunta indirizzati quasi esclusivamente alle grandi imprese, avesse ottenuto dai Governi un concreto e generalizzato sgravio del costo del lavoro, forse avrebbe guadagnato in termini di competitività sui mercati esteri ed interni, avrebbe controllato la dinamica dei prezzi ed avrebbe raggiunto risultati lusinghieri in termini di occupazione stabile senza puntare sulla precarietà selvaggia.
Chiaramente, oltre all’inflazione cavalcante le famiglie hanno risentito di questa ondata di flessibilità selvaggia e miope che ha funzionato più come slogan che come moltiplicatore sull’occupazione.
La flessibilità, infatti, non è elemento che può aprioristicamente rendere virtuose le dinamiche occupazionali, non tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo.
In Italia, infatti, i contratti atipici hanno contribuito ad aumentare in termini meramente contabili il saldo occupazionale ma hanno diffuso un’incertezza ed un malessere sociale che ha paralizzato il sistema Paese.
Una politica del lavoro che non argini il ricorso sistematico e l’abuso del del precariato lavorativo per i giovani è definibile come liberismo selvaggio, far west e macelleria sociale.
Parimenti una politica del lavoro che miri ad abrogare la Legge Biagi, sarebbe definibile come demagogica e dannosa.
Per porre in essere una politica del lavoro che venga incontro alle esigenze delle nuove generazioni e della famiglia, forse sarebbe corretto non abolire tutte le forme di lavoro flessibile, ma correggerne le storture.
La legge 30 va emendata in modo che siano ben definiti e ristretti gli ambiti di applicazione del lavoro precario di cui oggi si abusa e che ad un aumento dell’insicurezza lavorativa corrisponda il giusto contrappeso in termini di ammortizzatori sociali e retribuzione..
E’ necessario che si limiti il pericolo del precariato cronico impedendo con sanzioni pesanti ai datori di lavoro di contrattualizzare perpetuamente lo stesso lavoratore a tempo determinato ricorrendo a semplici tecniche di elusione delle norme.
Sarebbe forse efficace incentivare le imprese ad assumere precari attraverso sgravi sul costo del lavoro proporzionali all’anzianità di precariato del lavoratore che assorbono con un contratto a tempo indeterminato e scoraggiando nel contempo il precariato perpetuo attraverso la progressività degli oneri a carico azienda calmierata sempre sull’anzianità di precariato del lavoratore.
Il Governo dovrebbe sostenere con maggiore forza il programma di riduzione del costo del lavoro rimodulando al rialzo gli oneri contributivi sul lavoro flessibile ed al ribasso quelli sui nuovi assunti stabilmente…. Invece per abolire lo scalone ha fatto l’esatto contrario !!!
E’ necessario riformare la Legge Biagi inserendo gli opportuni meccanismi di protezione sociale sui lavoratori espulsi dai processi produttivi aiutandoli nel loro iter di riconversione e riqualificazione e nella ricerca di una nuova occupazione.
Sarebbe anche importante che il Governo emendasse la Legge Biagi prevedendo pene più severe sul lavoro nero e sull’elusione delle norme come ad esempio il meccanismo del contratto a tempo determinato con successiva proroga, poi stacco di 20 giorni e successivo contratto a tempo determinato.
Tale meccanismo è attualmente consentito ed è il principale responsabile del cosiddetto precariato cronico.
Si tratta di tecniche che andrebbero scoraggiate oltre che vietate.
Urge riordinare un settore come quello delle norme in materia di diritto del lavoro, deturpato da una corrente di pensiero trasversale in base alla quale quanto maggiore è la flessibilità tanto più si sviluppa il mercato del lavoro.
L’incertezza sul futuro manifestata a più riprese dai giovani è li a dimostrare che tale assioma è errato se non prevede un argine a tali meccanismi.
L’ instabilità del lavoro, oggi più che mai costituisce il principale elemento frenante per la formazione di nuove famiglie, per la natalità, per la dinamica dei consumi e quindi per lo sviluppo del nostro Paese..
Non posso non ricordare inoltre che recenti studi hanno messo in evidenza nessi di causalità tra salute e stabilità lavorativa evidenziando che chi gode di forme contrattuali e retributive migliori, si sottopone più frequentemente a controlli medici e terapie preventive .
Allora smettiamo di credere alla favole di chi ci racconta che la flessibilità è un male e di chi ci viene a dire l’esatto contrario; sono le solite semplificazioni di una classe politica buona solo a sculettare in televisione.
http://leopinionidigeronimo.blogspot.com/
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