martedì, aprile 17, 2007

brutte notizie dall'economia

Ho pessime notizie, l’economia pare essersi di nuovo fermata. Lo vedremo, come ogni anno, con le nuove statistiche che usciranno a giugno, presumibilmente subito dopo le elezioni. Resta però il fatto che, a partire da marzo, le cose si sono inceppate. Per inceppate intendo che il fatturato dei negozi è drasticamente calato. Ma anche quello di bar e ristoranti ha subito una brusca caduta.

È un classico, le proiezioni degli economisti sono, infatti, fate su dati vecchi. A fine periodo dicono, infatti, se le cose sono andate bene o male. Ma questo non crea certezze per il futuro. E, nemmeno, fotografa il presente. Dice solo come sono andate le cose fino all’ultimo controllo, nella fattispecie attuale, fino a fine febbraio.

Volendo essere perfidi potremmo fare coincidere questo fenomeno con la crisi di governo. Ma onestà richiede di notare come questo sia un fenomeno generalizzato un po’ in tutta europa.

Il dollaro sopra 1.3 dollari non ha aiutato, ricordo un altro marzo, forse peggiore, la cui crisi è durata fino al referendum con cui i francesi hanno bocciato la costituzione europea, in quel caso l’euro era calato ed il giorno dopo erano ripartiti gli ordini.

Ma c’è crisi anche in Gran Bretagna dove l’euro non c’è.

Speriamo che la tendenza si inverta presto.

Speriamo, soprattutto, che si inverta prima che il governo trovi modi efficaci e creativi per sperperare quello che è stato definito “tesoretto”. Soprattutto speriamo che non decidano che questo extra reddito sia qualcosa su cui contare anche per il futuro e che non impegnino più risorse. Come dire, speriamo che non riescano, grazie all’abbondanza di fondi, a portarci ad una situazione peggiore di quella di partenza

Saluti
R.D.

martedì, luglio 25, 2006

Bersani, sai cosa fai? 2: EUGENETICA

Bersani, sai cosa fai? 2: EUGENETICA

Vorrei fare una semplice domanda: chi è più interessato a conoscere i nostri dati medici rispetto a chi ci fornisce la pensione integrativa?
Bene, il decreto Bersani prevede che i medici non potranno più essere pagati in contanti ma solo tramite banca. Ovvio che ci sarà qualcuno pronto a giurare che le banche mai approfitteranno di questo, ma c’è anche chi giura di aver visto Elvis a Canicattì, non credo ci sia da farci molto conto.

Perché le liberalizzazioni sono importanti, ma vanno fatte bene e considerando tutte le possibili conseguenze. Mi dilungo un attimo: le banche partono avvantaggiate nella raccolta dei fondi pensione, se non altro possono approfittare del fatto che già siamo loro clienti e che i versamenti sui fondi potrebbero essere fatti senza costi o a prezzo ridotto. Ma se sanno con precisione che tipo di malattie ho avuto (io, ma anche i miei antenati), possono prendere delle decisioni piuttosto vantaggiose… dal loro punto di vista. Dall’altro canto non riesco ad immaginare perché chi pagava in nero prima non dovrebbe farlo più adesso.

Ok, è possibile che sia stato fatto per imperizia e distrazione, non lo credo, ma se a qualcuno facesse piacere vorrei fosse libero di crederlo, in fondo a mio figlio parlo spesso di babbo natale. Ma mi pare una cosa molto grave. Per favore, parlatene in giro. Non è qualcosa che vorrei accadesse in Italia.

Saluti
R.D.



Una piccola notazione: chi mi ha letto in passato sa cosa io pensi della grande distribuzione. E sa pure cosa penso di Bersani. La proposta di Federfarma era che l’aspirina si potesse vendere ovunque, tipo autogrill (24 ore su 24) o dai tabaccai.

Se Bersani ha rifiutato vuole dire che voleva favorire le coop, non i consumatori.

R

mercoledì, luglio 19, 2006

Bersani, sai cosa fai?

È facile supporre che una persona scelga il proprio percorso universitario in funzione dei propri interessi e delle proprie aspirazioni. Il ministro Bersani, ad esempio, ha deciso che il campo in cui voleva eccellere fosse la filosofia, ed in questo campo si è laureato. Immagino che delle attività produttive gli importasse poco quasi quanto poco oggi dimostri di capirne.


Se non fosse così seria la situazione sarebbe ridicola. Dopo una marea di proclami sulla pace sociale da ritrovare riesumando la “concertazione” il nostro, nottetempo, ha sparato una raffica di provvedimenti che avevano, a dir suo, lo scopo di riattivare l’economia.

Non si può non cominciare a parlare dei taxi. L’idea iniziale era quella di aumentarne il numero. Alla fine si è giunti ad un “compromesso”: i taxista, oggi, possono lavorare molte più ore (magari dando il taxi a parenti od amici) e questo permetterà loro di guadagnare di più e di ammortizzare meglio il costo della vettura. In compenso, e su questo il pelatone di Piacenza non ha ceduto, i sindaci, se se la sentiranno di sopportare uno sciopero che paralizzerà per un tempo indefinito il loro centro città, magari durante qualche manifestazione importante, potranno permettere agli stessi tassisti di avere più di una vettura.

Intendiamoci, che per Bersani fosse un problema non trovare taxi sotto Montecitorio lo capisco, che non volesse arrivare tardi al ristorante pure. E comprendo pure il suo desiderio di eliminare questa rogna, ma serviva fare tutto questo casino?

Tra l’altro, non è che l’accordo sia stato frutto di un lampo di creatività innovativa di questa o di quella parte. Credo che chiunque si fosse messo a parlare del problema con un qualsiasi tassista si sarebbe sentito rispondere che le difficoltà erano due:
1) Quella dei turni che gli impedivano di aumentare la presenza in ore di punta
2) Quella delle corsie preferenziali, perché se prendi un taxi per andare in periferia, e poi questo deve tornare in centro per trovare altri clienti, magari passando delle ore incolonnato nel traffico, deve farti pagare anche il tempo perso così. Ed in più, mentre è bloccato, non è disponibile per un altro cliente.

Sulla seconda c’è solo da costruire infrastrutture. Sulla prima, beh, direi che non si dovranno più lamentare.

Mi sono dilungato e cerco di chiudere, vorrei solo segnalare la turbata di imporre il pagamento con bonifico, assegno, bancomat o carta di credito per tutte le prestazioni mediche sopra i 100 euro.

Il primo effetto che mi viene in mente è che tutti avranno un facile promemoria per sapere quali redditi dedurre dalla dichiarazione. Spero che la lista dei movimenti basti come prova. Sarebbe un bel risparmio. Per quanto riguarda invece l’eliminazione dell’elusione non riesco a trovare nessun motivo per cui uno che pagava in nero un medico oggi non dovrebbe più farlo. Anzi, se non avesse il bancomat sarebbe quasi costretto a farlo.

Quello che invece prevedo sarà un robusto aumento degli introiti delle banche che ci mangeranno qualche commissione per ogni prestazione e che vedranno l’arrivo di qualche cliente in più, prevalentemente vecchietti e malati incapaci di verificare la correttezza degli estratti conto.

Una piccola ultima cosa, il decreto Bersani riprende molti dei suggerimenti presentati dall’ Autorithy per la Concorrenza e il Mercato nella relazione del 18 novembre 2005. Parlo in particolare delle tariffe degli avvocati. Solo che in questa relazione si parlava anche di architetti e notai. Che fine hanno fatto?

Saluti

R.D.

volentieri rilancio

invito tutti a leggere l'intervento pubblicato sul blog di Otimaster ed il suo grido d'aiuto.
http://www.otimaster.com/dblog/articolo.asp?articolo=709

lunedì, luglio 17, 2006

Poter licenziare, da solo, non basta.

Una delle difficoltà che si imputano alla nostra economia è quella della rigidità del mercato del lavoro. Probabilmente è vero: solo che quando si va a descrivere il problema lo si dipinge come “l’impossibilità per il datore di lavoro di licenziare”. Ma c’è anche l’altro lato del problema: quello dell’impossibilità del lavoratore insoddisfatto ad andarsene.

Il “padrone” ha, infatti, mille modi per rendere la vita impossibile al dipendente: lo mette a fare lavori noiosi e tristi, lo rende subordinato a qualcuno che non possa sopportare, gli impone le ferie in momenti inutili e potrei continuare. Spesso poi, sono i colleghi a non volere il corpo estraneo. L’effetto di questo ha il nome di mobbing.

Solo che il dipendente “vessato” non ha altra scelta se non quella di restare al suo posto perché, anche ricevendo un congruo buonuscita, dopo, cosa potrebbe fare?
Diversa sarebbe la situazione in un contesto in cui fosse ragionevolmente facile trovare un impiego alternativo. Basterebbe accettarlo, dare il preavviso e, salvo contro offerte del primo datore di lavoro, cambiare lavoro.

Sappiamo che in Italia questo non è così semplice, ma per ottenere che lo diventasse servirebbero delle condizioni neppure troppo difficili da realizzare:

la prima sarebbe la possibilità di conoscere le richieste delle aziende:

è molto probabile che in Italia ci siano molte aziende che cercano, senza trovare, un lavoratore con le stesse identiche caratteristiche di colui che il lavoro lo vorrebbe trovare o cambiare.
Ma la triste verità è che il lavoro lo si trova per conoscenze di amici. Certo, esistono le società per il lavoro interinale, ma quelle valgono solo per chi il lavoro lo avesse già perso.

Potendole trovare le aziende assumerebbero persone già formate sul lavoro da compiere e che, anziché richiedere lunghi periodo di formazione, porterebbero, anzi, conoscenze ed esperienze nuove.

D’altro canto i lavoratori otterrebbero condizioni migliori, sia perché al momento dell’assunzione avrebbero molto da offrire, sia perché, in caso di insoddisfazione potrebbero minacciare, credibilmente, di prendersi ed andare via.


Una seconda condizione sarebbe la possibilità di trovare alloggi a prezzi accessibili:

chi si sposta deve infatti poter abitare in un luogo ragionevolmente vicino al posto di lavoro, a prezzi ragionevolmente bassi ed in tempi utili per iniziare a lavorare.
Per favorire la cosa si potrebbe pensare a degli incentivi alle aziende che offrissero la casa ai dipendenti, ovviamente andrebbero scalati dallo stipendio, ma rientrando nei costi del personale potrebbero godere di parecchi vantaggi.
Ma sarebbe anche bello poter vendere una casa e comprarne subito un’altra. Per fare questo servirebbe una maggior flessibilità de mercato immobiliare. E questo vorrebbe dire meno burocrazia ed adempimenti.

Un’altra cosa da farsi sarebbe il rendere facili gli spostamenti.
Spesso il lavoro potrebe essere trovato non distante dalla propria città, diciamo un centinaio di chilometri, un’oretta… se non ci fossero code. Ma se si abitasse oltre uno dei nodi di criticità del traffico (Venezia, Bologna, Milano, Roma, solo per citarne alcuni) i tempi di percorrenza potrebbero essere eterni. Inoltre in Italia non abbiamo un trasporto pubblico dignitoso, servirebbero enormi opere pubbliche per spostare il trasporto dalla ruota alla ferrovia, ma questo lo si sa.


Per finire servirebbe una sensibilizzazione sul fatto che cambiare città non è una cosa necessariamente negativa. Perché in fondo siamo una specie che ha sempre effettuato migrazioni alla ricerca di luoghi in cui procacciarci il cibo, altrimenti vivremmo ancora tutti in Africa.


Dei provvedimenti che andassero in questa direzione favorirebbero la mobilità del personale rendendo l’economia del nostro paese più elastica e dinamica. E sarebbero pure liberali, perché il liberismo non vuol dire solo favorire le imprese, vuole dire favorire la possibilità che ciascuno deve avere di far valere le proprie carte.

Purtroppo queste cose toglierebbero potere ai datori di lavoro, comprese cooperative e aziende di lavoro interinale. Ma danneggerebbero pure, e di più, i sindacati che perderebbero importanza agli occhi di lavoratori più liberi di scegliere e di fare valere, monetizzandola, la propria professionalità.

Quindi si continuerà a parlare di articolo 18 e di ammortizzatori sociali.

Salutir

martedì, luglio 11, 2006

La grande distribuzione sta uccidendo l'economia.

Ne sono convinto: senza di essa le merci cinesi non avrebbero potuto invadere i nostri mercati ed avremmo pure evitato molti dei problemi che affliggono il nostro apparato produttivo. Molto probabilmente, non ci sarebbe stata una crisi così profonda.

Per questo, favorire la GD (come con il decreto Bersani) peggiora la situazione.

In Italia c’è crisi, e non è certo l' unico paese in cui le cose non vanno bene. Eppure stiamo tutti cercando di lavorare il più possibile, perché non basta?

La domanda è importante, perché in funzione della causa che si andasse ad individuare diverse sarebbero le soluzioni da adottare.

Una delle idee più ricorrenti, è quella di imputare molto, se non tutto, al semplice livello dei prezzi. Per cui la tendenza è di puntare solo alla riduzione di questi.

Il metodo più gettonato è quello di favorire la grande distribuzione. Si vorrebbe migliorare la logistica e ridurre così i prezzi delle merci. Periodicamente vengono iniziate campagne di stampa per aumentare il numero dei centri commerciali e delle merci che possono in essi essere vendute, esempi tipici sono i farmaci ed i carburanti.

Il centrosinistra è sempre stato favorevole alla grande distribuzione. Nella sua passata esperienza di governo Bersani aveva già tolto i limiti alle licenze dei negozi. In pratica un nuovo centro commerciale poteva aprire ovunque, indipendentemente dalla sua utilità e dalla possibilità per i negozi della zona di sopravvivergli. Un altro esempio stato la “razionalizzazione” delle pompe di benzina: nella mia città comincia a diventare difficile fare il pieno. Immagino altrove sia lo stesso.

Più genericamente mi pare che la sinistra abbia questa tendenza. Una dimostrazione in più la si è avuta nell’ultima batteria di “liberalizzazioni” in cui si è permesso ai supermercati di vendere medicinali da banco.

Ovviamente qualsiasi provvedimento dal centrodestra che, magari a livello regionale, andasse nella stessa direzione, sarebbe ugualmente dannoso.

È probabilmente vero che la grande distribuzione abbia migliori economie di scala. Ma i vantaggi che questo porta, se pure non fossero compensati dai costi di gestione dei centri commerciali stessi, andrebbero considerati nel loro contesto:

Ora, se la tendenza della distribuzione ad indirizzarsi solo verso realtà più grandi fosse libera e spontanea non ci sarebbe nulla da ridire, si assisterebbe ad un graduale ricollocamento delle persone e la gradualità della cosa ci metterebbe al riparo dalle peggiori conseguenze.

Ma favorire con atti politici ed amministrativi la creazione di grandi magazzini, spesso in funzione di logiche che esulano dal bene comune e sacrificando tutto sull’altare di una presunta efficienza e di un supposto contenimento dei prezzi, è un comportamento suicida.

Ogni prodotto viene influenzato da due passaggi: la produzione e la distribuzione. Sulla prima si è detto molto: si ha la consapevolezza di avere di fronte concorrenti estremamente agguerriti e privi di molti dei vincoli che, spesso (anche se non sempre) per ottimi motivi, vengono a limitarci. Generalmente possono, inoltre, contare su costi del lavoro irrisori o nulli. E questo senza considerare presunti o reali comportamenti di dumping o, in generale, di concorrenza sleale.

Ma il nostro paese è specializzato in lavorazioni di nicchia, tende, in pratica, a produrre cose ad alto valore in quantità relativamente limitate. Per le economie emergenti, in primis quella cinese, questa tipologia di prodotti è estremamente difficile, quasi impossibile da produrre. Mi spiego: il lavoratore cinese non è poi così duttile. Prendere un contadino dalla bassissima scolarità e dai ritmi di lavoro propri della campagna e metterlo a lavorare in una catena di montaggio non è, e neppure potrebbe essere, un passaggio facile. Per renderlo produttivo e conveniente servono numeri molto alti su cui spalmare l’impegno richiesto. Per questo è praticamente impossibile fare ad una azienda cinese un ordine con quantità “ridotte”. Mentre ad un calzaturificio italiano possono essere ordinate 10 scarpe, una per modello, a quello cinese, ma anche vietnamita od indiano, il numero minimo varia tra le 300 e le 500 paia per aticolo/colore/misura.

Lo spartiacque è questo: se puoi ordinare molti pezzi per articolo paghi molto, ma molto meno le merci. D’altro canto è anche vero che la qualità scende rapidamente, è noto che, qualunque siano la tua produzione, la tua qualità e il tuo livello di prezzo, nel mondo esiste qualcuno in grado di fare lo stesso prodotto peggio ed a costi inferiori.

I negozi dei centri storici, che tipicamente vivono su un rapporto di fiducia col cliente e che rappresentavano, fino a qualche anno fa, lo sbocco naturale delle nostre merci, stanno via via scomparendo. Al loro posto prende sempre più piede la grande distribuzione che, oltre ai vantaggi che già naturalmente ha, gode di una stampa favorevole e di una legislazione che tende a favorirla.

L’idea diffusa è questa: i negozi piccoli, per le loro economie di scala, hanno costi troppo alti, meglio favorire lo spostamento del commercio sulla grande distribuzione in modo da contenere i pressi al consumo.

Gli effetti sono questi: forse si è calmierata l’inflazione, non pare però che la cosa appaia così evidente ai più. In compenso i negozi piccoli hanno dovuto aumentare i prezzi per spalmare i loro costi (fissi) su un numero minore di vendite. Spesso, più semplicemente, hanno chiuso.

I grandi distributori sono andati ad approvvigionarsi dove la merce costava meno. Questo ha tolto ossigeno alle aziende di produzione del nostro paese (ma questo vale per tutto l’occidente).

Anche a causa di una concorrenza basata esclusivamente sul prezzo la qualità della merce offerta e comprata è drasticamente scesa. Di conseguenza anche la qualità dei beni posseduti dalle famiglie.

I guadagni dei negozi, che prima andavano, nell’ordine, ai negozianti, ai proprietari degli immobili, agli artigiani che gestivano i servizi di manutenzione ed ai comuni si sono trasferiti nelle mani delle grandi catene di distribuzione, spesso non italiane, e quindi sono usciti dal nostro paese.

Non solo, se pure i prezzi fossero diminuiti sarebbe diminuito anche il reddito disponibile per le famiglie, ovviamente infatti un commesso guadagna meno di un titolare. Inoltre la somma dei negozi chiusi in seguito all’apertura di un centro commerciale produceva certamente più reddito rispetto alla nuova struttura. Il tutto a fronte di livelli occupazionali probabilmente equivalenti se non inferiori.

Dal punto fiscale, inoltre, è quasi scontato che grandi realtà seguano con attenzione l’andamento degli incassi e compensino i profitti con gli investimenti in modo da pagare, se proprio se ne pagassero, meno tasse possibile.

Un negozio poi, per chi lo possedeva, era un investimento, ma anche una fonte di reddito a lungo termine. Ci si poteva prendere il tempo necessario per ammortizzare o rimborsare alla banca i costi iniziali che, comunque, restavano sfruttabili per lungo tempo. In pratica, vista anche la risibile pensione prevista per i commercianti (praticamente la minima), ci si assicurava il futuro accumulando il valore della propria attività. Oggi l’attività non vale più nulla e le pensioni sono rimaste le stesse.

A questo si deve aggiungere che la gestione di un piccolo negozio non ha le stesse logiche di quella di una catena di grande distribuzione. Una grande catena può, infatti, vivere sfruttando il flusso di cassa ed allontanando man mano i pagamenti ai fornitori. Ha inoltre riserve che possono permetterle di lavorare in anche per lungo tempo in perdita pur di soppiantare la concorrenza. E questo non è sano, come potrebbe, infatti, essere sana una situazione in cui una azienda può permettersi di perdere soldi?

Anche la gestione dei fornitori è diversa: premesso che è prassi abbastanza diffusa pagare le merci importate al memento del loro ingresso in Italia, mentre è più probabile, se non scontato, ottenere una dilazione di pagamento per quelle interne. La grande distribuzione ha una forza tale da poter ottenere dai fornitori condizioni al limite della sopravvivenza. Basta uno sbaglio, oppure il ritardo di un pagamento, per mandare in bancarotta il fornitore. Spesso la grande distribuzione si è mantenuta posticipando man mano i termini di pagamento. In pratica con gli incassi di aprile pagavano le forniture di gennaio. Qualora il flusso di cassa fosse mancato è bastato imporre una dilazione, o semplicemente ritardare un pagamento, e utilizzare le vendite di maggio. E così via, fino a strozzare i fornitori. Questa alternativa dannatamente più economica del credito bancario, è stata abbondantemente sfruttata.

Ultima cosa: una volta esistevano i grossisti e gli importatori. Avevano, tra l’altro, la funzione di permettere l’accesso ai prodotti asiatici alle piccole realtà, il tutto comprando stock di merce che poi andava diviso tra i negozi. Ovviamente i prezzi aumentavano, ma l’aumento avveniva in Italia ed andava ad incidere positivamente sul p.i.l. Oggi le grandi catene comprano direttamente nel paese di origine.

La situazione è grave, e non sembra destinata a migliorare in breve tempo. Questo è tanto più vero con un governo di centrosinistra, parte che più spesso dell’altra ha favorito la creazione di centri commerciali.

Una piccola notazione, anche nei centri commerciali sono presenti dei negozi “minori”. Ma i costi di un negozio di questo tipo sono molto più alti rispetto a quelli di un negozio di un centro città. Morale i negozi minori hanno una vita stentata e difficile. Dopo una breve parentesi anche loro ormai appartengono quasi tutti a catene.

Concludendo: se si vuole salvaguardare la nostra catena produttiva ed il reddito che può produrre bisogna cercare per essa sbocchi di mercato. Altrimenti si favoriranno sempre realtà produttive esterne. Alla sinistra non può piacere, perché vuole dire andare a non sfavorire dei piccoli imprenditori che difficilmente guardano a sinistra come proprio riferimento. Ma ridurne ulteriormente lo spazio vorrebbe dire eliminare la produzione di beni all’interno del nostro paese, e presto il processo andrebbe a toccare anche i servizi. Non so chi potrebbe trarne vantaggio.

Saluti

R.D.

lunedì, luglio 10, 2006

Una nuova velina

Nella serata dei mondiali io non ho potuto partecipare alla festa in piazza. Nulla di grave o di triste: ho un figlio piccolo e non ci sembrava il caso di portarlo in mezzo alla folla. Mi sono quindi goduto la partita in tv, e dopo ho avuto modi di vedere le interviste… tra queste quella del presidente Napolitano… nulla che non fosse scontato. Quello che mi ha colpito è stata l’intervista fatta, subito dopo, alla velina Giovanna. Bene inteso, non ho motivo di dubitare della profonda intelligenza e sensibilità della ministro Melandri. Anzi, postulo che chi abbia saputo arrivare a tali livelli di carriera sia un gradino appena sotto Pico della Mirandola. Ma non riesco ad immaginare altra funzione per la bella ministra che quella di bella accompagnatrice per l’attempato presidente.

Anche il tono non aveva nulla di ufficiale. Ok, lo capisco, era contenta per l’Italia, ma dal rappresentante del governo ci si poteva aspettare un atteggiamento un tantinino più serio

vabbeh.. lo dico… che centri qualcosa il noto binomio velina-calciatore?

Saluti

sabato, luglio 08, 2006

Ecco, si parte.

Ecco, si parte.

Alla fine ecco il mio blog. L’augurio e la speranza è che qualcuno possa trovarci qualche spunto interessante.

Per il momento mi limito a dare il benvenuto a chiunque fosse venuto a trovarmi.

SalutiR.D.

venerdì, luglio 07, 2006

Non è possibile che sia legale

 

E quindi, per converso, se è illegale, qualcuno merita di finire in galera.

Non so chi sia, non so di che colore politico sia, non me ne importa nemmeno nulla, ma qualcuno ha, nella migliore delle ipotesi, omesso di vigilare.

Ero a Pisa, immagino tutti conosciate la città, un centro bello anche se non mirabolante e una piazza che tutto il mondo trova bellissima e che quella parte del mondo che può permetterselo, prima o poi, passa a vedere.

Pochi posti rappresentano un simile biglietto da visita per il nostro paese, certo, magari Napoli,Firenze e a Venezia avranno un numero di visitatori più elevato, e questo senza parlare di Roma o di Milano, ma si parla di città con molti punti di attrazione, ovvio che per il colosseo o per piazza SanMarco passano tutti, ma poi ci sono mille altri luoghi, scorci, monumenti da vedere.

A Pisa, e non me ne vogliano i pisani, molte persone passano solo pervedere la torre pendente ed il battistero.

In teoria,quindi, quei posti andrebbero, almeno un po’, controllati.

E passi per i … non so cosa siano, hanno la pellescura e girano con delle cartelle di orologi, si mettono in mezzo alla strada e ti offrono la mercanzia, lo trovo irritante, so che è dannoso per l’economia, ma lasciamo perdere, sono delle vittime anche loro.

Passi, beh, meno ma passi, per quelli con la tovaglia a terra sulla quale espongono un po’ di tutto.

E vabbeh.

Non mi fraintendete, quando li vedo non mi sento tollerante e non mi faccio impietosire dal fatto che qualche lavoro debbono pur fare, perché le loro vendite colpiscono direttamente quelle dei negozi e preferisco che il lavoro lo abbia un commesso regolarmente iscritto e che paga le tasse (ed il fatto che ci siano commessi inscritti non cambia poi molto la cosa).

Ma considero che se anche passasse un vigile urbano a controllare queste due categorie sparirebbero all’istante per poi tornare dopo poco, e magari io sono passato tra due ronde, non lo so.

Devono pur lavorare?

NO, se il loro lavoro comporta la perdita di tanti altri posti.

Ma quello che non posso accettare sono le bancarelle“regolari”.

Non proprio in piazza dei miracoli, quelle vendono paccottiglia assortita che però nulla ha di malvagio o illegale. A 16 anni mi ero pure comprato una statuetta della torre pendente e, pur sentendomi uno scemo, mi aveva divertito farlo.

Quello che non può andare bene sono le bancarelle subito fuori dalle mura.

Non tutte vendono falsi, ma la maggior parte ha in bella mostra borse borsette valige e borsellini finti griffati venduti a 10 euro.

Non è possibile che si permetta una cosa simile!

Non quando a pochi chilometri c’è il distretto della pelletteria che soffre per la concorrenza spietata di chi può fare certi prezzi anche, se non solo, grazie ad una politica di dumping.

Non quando tante pelletterie e concerie stanno chiudendo, e non sulla luna, a pochi chilometri di distanza! Non è possibile che per favorire quattro bancarelle si tolga ossigeno a coloro che vivono sul mercato di chi porta indietro dal viaggio in Italia un ricordino per la figlia.

Perché magari non comprerebbero la borsa originale, ma ne comprerebbero un bella ed italiana a 30 – 40 euro. Io capisco tutelare i redditi, ma non quelli di pochi a scapito di quelli di tanti altri.

E non è una guerra tra poveri, perché parliamo di una minoranza che per avere un piccolo guadagno provoca danni enormi ad un numero di persone di molto maggiore.

E lo fa tenendo un comportamento illegale.

E per di più non possiamo sporcare con un aura di illegalità palese l’immagine del nostro paese.

Offrire alla luce del sole prodotti chiaramente illegali e lamentarci della loro concorrenza in sede europea è ridicolo.

Chi ha le bancarelle ha diritto di vivere,certo, ma non lo ha facendo cose illegali o rovinando altri.

E qui parliamo in una situazione in cui diciamo a tutti di essere dei disonesti.

Di fregarcene delle regole, di mancare di civiltà.

Poi magari uscirà fuori che no, che per questo o quel particolare le pelli non erano marchiate, che quelle LV non erano esattamente le stesse e che le FF erano di dimensioni e colori che le rendevano regolari.

Conosco la normativa, quelle merci non venderebbero un solo pezzo se non potessero essere scambiate per gli originali, si chiama imitazione servile, è illegale.

E non facciamo confusione tra la normativa penale e quella civile, perché alla civile mi riferisco.

E comunque, io me ne sono vergognato, gli operai delle concerie invece sono per strada.

Chi deve vigilare?

Non lo so, immagino i vigili urbani, in tal caso la colpa è del sindaco, ma non sono un giurista e non fidatevi di quello che dico.

Chiunque sia non ha fatto il suo lavoro.

P.s.: 8 anni fa nell’ultima piazzola dell’autostrada prima di Pisa mi aveva molto colpito la presenza di un capannello di figuri che facevano il gioco delle 3 carte.

Era il solito schema dei 2 che fanno finta di giocare e del terzo che muove le carte, con l’inevitabile corollario di esternazioni di giubilo gridate per le false vincite.

Cosa c’entra?

Centra che erano otto anni che non mi fermavo in quella piazzola e dopo otto anni ho trovato di nuovo il capannello nello stesso posto in cui l’avevo lasciato tanti anni fa.

Non centra nulla con la piazza dei Miracoli, ma l’impressione data ai turisti è la stessa.

Come possiamo pretendere di vendere moda e lusso se mostriamo di essere dei barboni?

R.D.