Ne sono convinto: senza di essa le merci cinesi non avrebbero potuto invadere i nostri mercati ed avremmo pure evitato molti dei problemi che affliggono il nostro apparato produttivo. Molto probabilmente, non ci sarebbe stata una crisi così profonda.
Per questo, favorire la GD (come con il decreto Bersani) peggiora la situazione.
In Italia cè crisi, e non è certo l' unico paese in cui le cose non vanno bene. Eppure stiamo tutti cercando di lavorare il più possibile, perché non basta?
La domanda è importante, perché in funzione della causa che si andasse ad individuare diverse sarebbero le soluzioni da adottare.
Una delle idee più ricorrenti, è quella di imputare molto, se non tutto, al semplice livello dei prezzi. Per cui la tendenza è di puntare solo alla riduzione di questi.
Il metodo più gettonato è quello di favorire la grande distribuzione. Si vorrebbe migliorare la logistica e ridurre così i prezzi delle merci. Periodicamente vengono iniziate campagne di stampa per aumentare il numero dei centri commerciali e delle merci che possono in essi essere vendute, esempi tipici sono i farmaci ed i carburanti.
Il centrosinistra è sempre stato favorevole alla grande distribuzione. Nella sua passata esperienza di governo Bersani aveva già tolto i limiti alle licenze dei negozi. In pratica un nuovo centro commerciale poteva aprire ovunque, indipendentemente dalla sua utilità e dalla possibilità per i negozi della zona di sopravvivergli. Un altro esempio stato la razionalizzazione delle pompe di benzina: nella mia città comincia a diventare difficile fare il pieno. Immagino altrove sia lo stesso.
Più genericamente mi pare che la sinistra abbia questa tendenza. Una dimostrazione in più la si è avuta nellultima batteria di liberalizzazioni in cui si è permesso ai supermercati di vendere medicinali da banco.
Ovviamente qualsiasi provvedimento dal centrodestra che, magari a livello regionale, andasse nella stessa direzione, sarebbe ugualmente dannoso.
È probabilmente vero che la grande distribuzione abbia migliori economie di scala. Ma i vantaggi che questo porta, se pure non fossero compensati dai costi di gestione dei centri commerciali stessi, andrebbero considerati nel loro contesto:
Ora, se la tendenza della distribuzione ad indirizzarsi solo verso realtà più grandi fosse libera e spontanea non ci sarebbe nulla da ridire, si assisterebbe ad un graduale ricollocamento delle persone e la gradualità della cosa ci metterebbe al riparo dalle peggiori conseguenze.
Ma favorire con atti politici ed amministrativi la creazione di grandi magazzini, spesso in funzione di logiche che esulano dal bene comune e sacrificando tutto sullaltare di una presunta efficienza e di un supposto contenimento dei prezzi, è un comportamento suicida.
Ogni prodotto viene influenzato da due passaggi: la produzione e la distribuzione. Sulla prima si è detto molto: si ha la consapevolezza di avere di fronte concorrenti estremamente agguerriti e privi di molti dei vincoli che, spesso (anche se non sempre) per ottimi motivi, vengono a limitarci. Generalmente possono, inoltre, contare su costi del lavoro irrisori o nulli. E questo senza considerare presunti o reali comportamenti di dumping o, in generale, di concorrenza sleale.
Ma il nostro paese è specializzato in lavorazioni di nicchia, tende, in pratica, a produrre cose ad alto valore in quantità relativamente limitate. Per le economie emergenti, in primis quella cinese, questa tipologia di prodotti è estremamente difficile, quasi impossibile da produrre. Mi spiego: il lavoratore cinese non è poi così duttile. Prendere un contadino dalla bassissima scolarità e dai ritmi di lavoro propri della campagna e metterlo a lavorare in una catena di montaggio non è, e neppure potrebbe essere, un passaggio facile. Per renderlo produttivo e conveniente servono numeri molto alti su cui spalmare limpegno richiesto. Per questo è praticamente impossibile fare ad una azienda cinese un ordine con quantità ridotte. Mentre ad un calzaturificio italiano possono essere ordinate 10 scarpe, una per modello, a quello cinese, ma anche vietnamita od indiano, il numero minimo varia tra le 300 e le 500 paia per aticolo/colore/misura.
Lo spartiacque è questo: se puoi ordinare molti pezzi per articolo paghi molto, ma molto meno le merci. Daltro canto è anche vero che la qualità scende rapidamente, è noto che, qualunque siano la tua produzione, la tua qualità e il tuo livello di prezzo, nel mondo esiste qualcuno in grado di fare lo stesso prodotto peggio ed a costi inferiori.
I negozi dei centri storici, che tipicamente vivono su un rapporto di fiducia col cliente e che rappresentavano, fino a qualche anno fa, lo sbocco naturale delle nostre merci, stanno via via scomparendo. Al loro posto prende sempre più piede la grande distribuzione che, oltre ai vantaggi che già naturalmente ha, gode di una stampa favorevole e di una legislazione che tende a favorirla.
Lidea diffusa è questa: i negozi piccoli, per le loro economie di scala, hanno costi troppo alti, meglio favorire lo spostamento del commercio sulla grande distribuzione in modo da contenere i pressi al consumo.
Gli effetti sono questi: forse si è calmierata linflazione, non pare però che la cosa appaia così evidente ai più. In compenso i negozi piccoli hanno dovuto aumentare i prezzi per spalmare i loro costi (fissi) su un numero minore di vendite. Spesso, più semplicemente, hanno chiuso.
I grandi distributori sono andati ad approvvigionarsi dove la merce costava meno. Questo ha tolto ossigeno alle aziende di produzione del nostro paese (ma questo vale per tutto loccidente).
Anche a causa di una concorrenza basata esclusivamente sul prezzo la qualità della merce offerta e comprata è drasticamente scesa. Di conseguenza anche la qualità dei beni posseduti dalle famiglie.
I guadagni dei negozi, che prima andavano, nellordine, ai negozianti, ai proprietari degli immobili, agli artigiani che gestivano i servizi di manutenzione ed ai comuni si sono trasferiti nelle mani delle grandi catene di distribuzione, spesso non italiane, e quindi sono usciti dal nostro paese.
Non solo, se pure i prezzi fossero diminuiti sarebbe diminuito anche il reddito disponibile per le famiglie, ovviamente infatti un commesso guadagna meno di un titolare. Inoltre la somma dei negozi chiusi in seguito allapertura di un centro commerciale produceva certamente più reddito rispetto alla nuova struttura. Il tutto a fronte di livelli occupazionali probabilmente equivalenti se non inferiori.
Dal punto fiscale, inoltre, è quasi scontato che grandi realtà seguano con attenzione landamento degli incassi e compensino i profitti con gli investimenti in modo da pagare, se proprio se ne pagassero, meno tasse possibile.
Un negozio poi, per chi lo possedeva, era un investimento, ma anche una fonte di reddito a lungo termine. Ci si poteva prendere il tempo necessario per ammortizzare o rimborsare alla banca i costi iniziali che, comunque, restavano sfruttabili per lungo tempo. In pratica, vista anche la risibile pensione prevista per i commercianti (praticamente la minima), ci si assicurava il futuro accumulando il valore della propria attività. Oggi lattività non vale più nulla e le pensioni sono rimaste le stesse.
A questo si deve aggiungere che la gestione di un piccolo negozio non ha le stesse logiche di quella di una catena di grande distribuzione. Una grande catena può, infatti, vivere sfruttando il flusso di cassa ed allontanando man mano i pagamenti ai fornitori. Ha inoltre riserve che possono permetterle di lavorare in anche per lungo tempo in perdita pur di soppiantare la concorrenza. E questo non è sano, come potrebbe, infatti, essere sana una situazione in cui una azienda può permettersi di perdere soldi?
Anche la gestione dei fornitori è diversa: premesso che è prassi abbastanza diffusa pagare le merci importate al memento del loro ingresso in Italia, mentre è più probabile, se non scontato, ottenere una dilazione di pagamento per quelle interne. La grande distribuzione ha una forza tale da poter ottenere dai fornitori condizioni al limite della sopravvivenza. Basta uno sbaglio, oppure il ritardo di un pagamento, per mandare in bancarotta il fornitore. Spesso la grande distribuzione si è mantenuta posticipando man mano i termini di pagamento. In pratica con gli incassi di aprile pagavano le forniture di gennaio. Qualora il flusso di cassa fosse mancato è bastato imporre una dilazione, o semplicemente ritardare un pagamento, e utilizzare le vendite di maggio. E così via, fino a strozzare i fornitori. Questa alternativa dannatamente più economica del credito bancario, è stata abbondantemente sfruttata.
Ultima cosa: una volta esistevano i grossisti e gli importatori. Avevano, tra laltro, la funzione di permettere laccesso ai prodotti asiatici alle piccole realtà, il tutto comprando stock di merce che poi andava diviso tra i negozi. Ovviamente i prezzi aumentavano, ma laumento avveniva in Italia ed andava ad incidere positivamente sul p.i.l. Oggi le grandi catene comprano direttamente nel paese di origine.
La situazione è grave, e non sembra destinata a migliorare in breve tempo. Questo è tanto più vero con un governo di centrosinistra, parte che più spesso dellaltra ha favorito la creazione di centri commerciali.
Una piccola notazione, anche nei centri commerciali sono presenti dei negozi minori. Ma i costi di un negozio di questo tipo sono molto più alti rispetto a quelli di un negozio di un centro città. Morale i negozi minori hanno una vita stentata e difficile. Dopo una breve parentesi anche loro ormai appartengono quasi tutti a catene.
Concludendo: se si vuole salvaguardare la nostra catena produttiva ed il reddito che può produrre bisogna cercare per essa sbocchi di mercato. Altrimenti si favoriranno sempre realtà produttive esterne. Alla sinistra non può piacere, perché vuole dire andare a non sfavorire dei piccoli imprenditori che difficilmente guardano a sinistra come proprio riferimento. Ma ridurne ulteriormente lo spazio vorrebbe dire eliminare la produzione di beni allinterno del nostro paese, e presto il processo andrebbe a toccare anche i servizi. Non so chi potrebbe trarne vantaggio.
Saluti
R.D.